SABATO 23 NOVEMBRE, PRIME CONFESSIONI ORE 15.

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LA LITURGIA

In questa sezione pubblichiamo testi, documenti e articoli sulla liturgia, nella speranza di poter offrire la condivisione delle ragioni e dei fondamenti della liturgia perché "la liturgia non è uno show, non è un teatro, non è uno spettacolo, ma trae la sua vita da un Altro" (Benedetto XVI). 

> Benedetto XVI, Luce del mondo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, p. 215
Una volta Lei con parole drammatiche ha detto che il destino della fede e della Chiesa si decide “nel rapporto con la liturgia”. Un outsider potrebbe pensare: ma non è in fin dei conti una questione secondaria quali formule si utilizzino nella Messa, quale posizione si assumano e quali azioni si compiano?
La Chiesa diviene visibile agli uomini in molte cose: nella Caritas, nei progetti missionari, ma il luogo nel quale se ne fa realmente maggiore esperienza come Chiesa, é la liturgia. Ed è giusto che sia così.
In fondo il senso della Chiesa e di permettere che ci volgiamo a Dio e di lasciare entrare Dio nel mondo.
La liturgia è l’atto nel quale crediamo che Lui viene tra noi e noi lo tocchiamo. È l’atto nel quale si compie l’essenziale: entriamo in contatto con Dio. Egli viene a noi e noi veniamo illuminati da lui.
In essa siamo ammaestrati e ci viene data forza in una duplice forma: da un lato, ascoltando la sua parola, così cone Lo sentiamo parlare veramente, Egli ci indica la strada da seguire; dall’altro per il fatto che Egli stesso si dona a noi nel Pane transustanziato.
Naturalmente le parole possono essere diverse, differenti le posizioni del corpo. Per esempio nella Chiesa d’Oriente vi sono alcuni gesti diversi dai nostri. In India, un identico gesto che abbiamo in comune ha in parte un altro significato.
Quel che conta è che al centro ci sia veramente la Parola di Dio e la realtà del sacramento; che Dio non venga da noi investigato nei pensieri e nelle parole in modo freddo ed esasperato, è che la liturgia non divenga un’auto-rappresentazione.
La liturgia è qualcosa di dato, di prestabilito?
Sì. Non siamo noi a fare qualcosa, non noi mostriamo la nostra creatività, dunque tutto quello che sapremmo fare. Perché la liturgia non è uno show, non è un teatro, non è uno spettacolo, ma trae la sua vita da un Altro. E questo deve anche divenire evidente. Per questo la forma liturgica prestabilita è così importante. Questa forma può essere riformata nello specifico, ma non è ogni volta producibile dalla comunità. Come detto, si tratta non di un produrre da sé. Si tratta di uscire da sé per darsi a Lui e farsi toccare da Lui. In questo senso è  importante non solo l’espressine ma anche il carattere comunitario e unitario di questa forma. Essa può variare nei diversi riti ma deve sempre avere ciò che ci precede e che proviene dalla pienezza della fede della Chiesa, dalla pienezza della sua tradizione, dalla pienezza della sua vita e non scaturisca semplicemente dalla moda dal momento.
Nella liturgia, dobbiamo restare nella passività?
No, perché proprio questa impostazione ci sfida a lasciarci trarre fuori da noi, dalle semplice situazione del momento; ad abbandonarci alla pienezza delle fede, comprenderla, prenderne intimamente parte conferendo anche alla Celebrazione eucaristica quella forma decorosa per la quale diventa bella, diviene una gioia.
Questo è accaduto in misura particolare in Baviera, ad esempio attraverso la grande fioritura della musica sacra oppure attraverso l’esplosione di gioia nel Roccocò bavarese. È importante che al tutto si conferisca anche una forma bella, ma sempre al servizio di quello che ci precede, e non come qualcosa che innanzitutto dovremmo fare.

> Discorso di Giovanni Paolo II ai docenti ed allievi del pontificio istituto di musica sacra, 19 Gennaio 2001.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, muovendosi nella linea della ricca tradizione liturgica dei secoli precedenti, ha affermato che la musica sacra "costituisce un tesoro di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrale della liturgia solenne" (Sacrosanctum Concilium, 112).
In effetti, da sempre i cristiani, seguendo i vari tempi dell'anno liturgico, hanno espresso riconoscenza e lode a Dio con inni e cantici spirituali. La tradizione biblica attraverso le parole del Salmista esorta i pellegrini, giunti a Gerusalemme, a varcare le porte del tempio lodando il Signore "con squilli di trombe, con timpani e danze, sulle corde e sui flauti, con cembali sonori" (cfr Sal150). Il profeta Isaia, da parte sua, esorta a cantare sulle cetre nel tempio del Signore, in segno di gratitudine, tutti i giorni della vita (cfr Is 38, 20).
La letizia cristiana, che il canto manifesta, deve scandire tutti i giorni della settimana e risuonare con forza la domenica, "giorno del Signore", connotato da un precipuo carattere gioioso. Un intimo legame raccorda tra loro, da una parte, la musica ed il canto e, dall'altra, la contemplazione dei divini misteri e la preghiera. Il criterio che deve ispirare ogni composizione ed esecuzione di canti e di musica sacra è quello di una bellezza che inviti alla preghiera. Quando il canto e la musica sono segni della presenza e dell'azione dello Spirito Santo, favoriscono, in un certo modo, la comunione con la Trinità. La Liturgia diventa allora "opus Trinitatis". E' necessario che il "cantare nella liturgia" scaturisca dal "sentire cum Ecclesia". Solo così l'unione con Dio e la capacità artistica si fondono in una felice sintesi nella quale i due elementi - il canto e la lode - pervadono l'intera liturgia.

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